“CORRI CHE TI PASSA!”:

il benessere e lo sport in un’ottica PNEI.

 

  

 

Come medico specialista in medicina dello sport e come istruttore di yoga integrato vivo in prima persona la funzione del movimento fisico .Al di là  delle specifiche conoscenze, abbiamo tutti sperimentato come una bella nuotata, un giro in bicicletta, una seduta di yoga o una passeggiata veloce possono modificare il tono dell’umore e la qualità dei propri pensieri. Tutto ciò porta a sentirsi meglio: i problemi non cambiano, ma ciò che spesso cambia è come li si affronta. E’ chiaro che gli adattamenti biochimici e i cambiamenti comportamentali non sono il frutto di allenamenti sporadici: i risultati non prescindono dalla quantità e dall’intensità degli allenamenti. Il “sentirsi meglio” grazie ad un’attività motoria praticata nel tempo è, senza dubbio, una sensazione condivisa da tanti: quello che  tenterò di fare sarà spiegare grazie a quali meccanismi psico neuro endocrino immunologici ciò sia possibile. Gli studi relativi agli effetti delle attività sportive fanno riferimento in prevalenza agli sport aerobici praticati almeno tre volte alla settimana, caratterizzati da tempi di allenamento di almeno 45 minuti. L’abitudine a praticare un’attività sportiva tra i vari effetti ne ha uno, di considerevole interesse: ci si ammala di meno! Un recente lavoro del Prof. Francavilla (Cattedra di Medicina dello Sport- Università degli Studi di Palermo ) ha dimostrato, unitamente ad altri lavori, che in corso di esercizio fisico alcuni parametri immunitari tendono a modificarsi, anche in relazione all’intensità dello sforzo effettuato. Dagli studi svolti emergono alcuni dati certi sugli effetti acuti dell’esercizio fisico sul sistema immunitario: essi dimostrano tra l’altro, che l’allenamento moderato ha effetti molto diversi rispetto all’allenamento intenso. Quest’ultimo infatti può creare depressione a livello immunitario, contrariamente all’allenamento più moderato, che  stimola l’attività macrofagica ed aumenta il numero di cellule Natural Killer. Gli atleti studiati – praticanti attività moderata e regolare- hanno infatti mostrato livelli di NK, ma anche di CD3, CD16 + CD56 superiori al gruppo di controllo, rappresentato da soggetti sedentari. Questo dato è stato poi correlato all’assenza di episodi influenzali negli ultimi 7 anni. Quindi esiste una relazione tra allenamento aerobico regolare ed incremento di NK, che mostra peraltro di essere stabile nel tempo. Si ritiene quindi che l’esercizio fisico possa sviluppare un incremento duraturo di questa sottopopolazione linfocitaria, con conseguenti effetti benefici sul sistema immunitario. Ma lo sport non fa bene solo al sistema immunitario.. fa bene anche al cervello! L’attività fisica, infatti, è in grado di proteggere il tessuto nervoso: soprattutto l’attività aerobica ha un’azione benefica in quanto utile a migliorare le abilità cognitive, avendo un’azione anti-invecchiamento cerebrale. Inoltre riduce i deficit neurologici e motori tipici di alcune patologie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer,la Sclerosi Multipla. Quindi l’attività fisica è utilissima nel contrastare gli insulti del tempo: muoversi è sempre di più una necessità, non certo solo un ‘lusso’! Sono sempre più numerosi gli studi sperimentali e clinici che sostengono il ruolo dell’attività fisica nel tutelare la funzionalità cerebrale, e che dimostrano come tutto  questo si possa realizzare. Complessivamente le spiegazioni sono tre: 1) Aumento del numero delle cellule nervose, aumento della loro capacità di sopravvivenza nei centri cognitivi superiori, deputati al pensiero, al calcolo, alla memoria. Questo risultato si basa sull’aumentata disponibilità cerebrale del Fattore Nervoso di Derivazione Cerebrale (BDNF). I muscoli durante il movimento liberano due fattori: il fattore insulino simile di primo tipo (IGF-1)  e l’anandamide , che attraverso il circolo sanguigno giungono al cervello e qui stimolano la sintesi di BDNF. Tali fattori provvedono inoltre ad eliminare la proteina beta amiloide, che si accumula nei pazienti affetti da Alzheimer. 2) Aumento della neuro plasticità, cioè della capacità delle cellule nervose di stabilire nuove connessioni sinaptiche tra loro. Questa è la base biologica della “plasticità cerebrale”: si pensa in modo più efficace, più duttile, più inedito e veloce quanto più le connessioni neuronali sono numerose e dinamicamente rinnovate. A questa duttilità delle sinapsi si deve la rappresentazione del cervello come una struttura plastica, che si modifica nel corso degli anni, ed è proprio questo l’aspetto che gli scienziati stanno indagando da vicino. Questa plasticità oggi si può vedere e misurare nell’animale vivo, grazie ad una tecnica  sofisticata (la microscopia a doppio fotone), che fornisce immagini senza danneggiare i tessuti. Grazie alla possibilità di seguire le modificazioni morfologiche delle sinapsi è possibile definire quali sono gli stimoli, le esperienze ,gli eventi che inducono certi rimodellamenti.. e l’attività fisica può avere in tal senso una importante funzione. L’aumento della plasticità cerebrale è dovuto, ancora una volta, al Fattore Nervoso di derivazione cerebrale, responsabile delle nuove connessioni soprattutto a livello dell’ippocampo. 3) Aumento di nuovi vasi sanguigni nel cervello, che ottimizzano la nutrizione delle cellule, in relazione all’aumentata richiesta di ossigeno, glucosio ed altre sostanze trofiche . Questa crescita è indotta dai vari fattori stimolati dall’esercizio fisico, quale il fattore di crescita dei vasi ( VEGF, Vascular Endotelial Growth Factor ), oltre al già menzionato IGF1 (Insulin Growth Factor – 1).  Ricordo uno studio del 2004,che contribuisce ad ampliare quanto sino ad ora ho esposto. Molteni e Coll. dell’Università della California hanno dimostrato che l’attività fisica determina la produzione di fattori di crescita dei neuroni, utili nei processi riparativi  dei danni neuronali. Questo studio ha permesso di verificare che l’attività fisica favorisce la rigenerazione di fibre nervose mediante una proteina prodotta durante gli esercizi fisici: la neurotrofina. Finora sono  scoperti quattro tipi di neurotrofine: una di queste quattro, è il Fattore di crescita nervoso di cui ho detto precedentemente, per il quale ha vinto il premio Nobel Rita Levi Montalcini. Le neurotrofine hanno una struttura simile, formata da due catene quasi identiche, e proprietà lievemente diverse. Sono così simili, che in alcuni casi, si possono vicendevolmente sostituire:la loro funzione fondamentalmente è quella di stimolare la crescita di nuovi dendriti in zone che ne hanno bisogno, ed accelerano la morte dei dendriti non desiderati nelle aree troppo affollate. La cosa interessante è che la produzione di una di queste proteine si ha come conseguenza dell’attivazione dei neuroni sensitivi, in altre parole quelli che danno informazioni al cervello relativamente ai movimenti del proprio corpo nello spazio. L’importanza della   componente neuronale sensitiva nella produzione della neurotrofina ,  sottolinea la rilevante funzione dell’”ascolto” del corpo durante l’esercizio fisico: si deduce che la componente strettamente meccanico - motoria del movimento non ha nulla da invidiare a quella neuro-sensoriale! .Ciò a favore della funzione delle attività motorie che non prevedono la componente aerobica, come lo stretching, lo yoga ed altre discipline. Si sa che il benessere procurato da queste attività ha anche altre motivazioni: tra le tante, mi è congeniale ricordare lo “stiramento” dei meridiani,che sono, detta in poche parole, binari di energia che  attraversano il nostro corpo, a detta della Medicina Tradizionale Cinese . Essi vengono sollecitati dalle “asanas” e dagli allungamenti previsti dallo stretching, o da discipline a sfondo posturale. Detta in estrema sintesi, questa parentesi aperta, e ora già chiusa, per sottolineare la forza terapeutica degli sport caratterizzati da un minor impegno aerobico, argomento peraltro che potrebbe meritare ulteriori approfondimenti. Ora  però, per rimanere  nel tema “Corri che ti passa!”,quindi ritornando agli sport aerobici, vorrei dire qualcosa sulle ipotesi patogenetiche della “dipendenza da sport”, perché grazie agli studi relativi a questa realtà, sono emerse importanti dati di natura metabolica da cui si deduce il valore terapeutico dello sport. Come in ogni terapia, ciò che conta è la dose di assunzione..l’eccesso crea effetti collaterali,il così detto “overtraining”può incidere anche a livello immunitario, come ho precedentemente accennato. Uno degli effetti più studiati dell’overtraining è proprio la dipendenza: nessun dubbio nel pensare che  sia meglio la dipendenza da sport, che non da altro, ad esempio da farmaci! Fondamentalmente i sistemi “neurobiologici ” attivati grazie all’attività fisica di tipo aerobico, ripetuta nel tempo, sono quattro: quello noradrenergico, il serotoninergico, poi quello endocannabinoide ( la produzione di endorfine), ed in tempi più recenti, lo sport è stato considerato  tra i fenomeni di regolazione dell’espressione  genica. Per quanto riguarda il sistema noradrenergico, l’esercizio fisico può produrre alterazioni a carico di noradrenalina,oltre a serotonina e dopamina,come vedremo. Dishman (1997), ad esempio, ha dimostrato che, in ratti da esperimento, l’esercizio fisico continuativo comporta un incremento della noradrenalina e dei suoi metaboliti in aree cerebrali quali l’ippocampo e la corteccia frontale. La noradrenalina è fortemente coinvolta nel controllo delle funzioni come lo stato d’allerta,la percezione del dolore, la vigilanza,la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, la motivazione, la capacità d’iniziativa. L’eventuale deficit di tale neurotrasmettitore porta ai seguenti sintomi: perdita di interessi, ridotta capacità di provare piacere, calo dell’attività psicomotoria,, aumentata percezione del dolore.  Inoltre la noradrenalina determina la trasmissione degli impulsi nervosi dalle fibre agli organi effettori, controlla il tono dei vasi sanguigni, la muscolatura liscia dell’intestino, dell’utero, dell’iride, la replezione della milza, la produzione pancreatica di insulina, la scissione epatica del glicogeno in glucosio. Avere bassi livelli di noradrenalina è come cercare di avviare un’automobile con la batteria scarica.! Proprio in base alle caratteristiche descritte, ed altre ancora, la noradrenalina oltre ad incidere sul tono dell’umore, è stata qualificata come neurotrasmettitore del “funzionamento sociale”, cioè della capacità di interagire con il mondo esterno. I risultati della ricerca di Dishman mettono in evidenza che l’attività fisica continuativa ha un effetto protettivo rispetto alla riduzione dei livelli di noradrenalina cerebrali .Sulla base di queste osservazioni e di altre simili, si può sempre più dichiarare che l’attività fisica induca effetti “antidepressivi”.E’ stata inoltre formulata la tesi serotoninergica  della così definita “addiction da sport” (la dipendenza da sport). Si sa che la sintesi della serotonina dipende essenzialmente dalla disponibilità del precursore triptofano; esistono evidenze scientifiche relative al fatto che, sia nell’animale che nell’uomo (Davis , 1992)l’esercizio fisico aumenta la disponibilità di triptofano a seguito dell’aumentata lipolisi, da cui deriverebbe l’aumento di serotonina.E’ stato inoltre dimostrato che l’esercizio cronico crea un aumento significativo del triptofano, e conseguentemente della serotonina, molto di più rispetto all’esercizio acuto (Bloomstrand e Chaouloff, 1997)  Ecco perché coloro che sono “dipendenti da  sport”praticano un esercizio fisico strenuo:è un modo per procurarsi sensazioni di euforia e una riduzione dei livelli soggettivi di ansia mediati dal potenziamento dell’attività serotoninergica.Il sistema serotoninergico infatti controlla, in particolare, l’impulsività, l’appetito, la sessualità, l’aggressività. Il cattivo funzionamento di questo sistema può essere responsabile di disturbi quali: alterazione dell’umore e delle emozioni, disturbi del sonno, disordini dell’alimentazione, diminuzione dell’interesse sessuale,disfunzioni a livello intestinale,  ecc. Per quanto concerne  la produzione di endorfine, dopo la pratica di un’attività fisica si verifica un aumento delle concentrazioni di beta endorfina nei nuclei accumbens e nel tegmento ventrale; il picco plasmatico viene raggiunto dopo circa 15 minuti dall’inizio dell’attività motoria e ritorna nei limiti di norma dopo un’ora. Per quanto riguarda la produzione di endorfine mediata dall’attività fisica,  Dietrich e Mc Danier (2004) hanno dimostrato che gli endocannabinoidi possono non solo ridurre la sensazione di dolore, ma anche modificare l’assetto cognitivo ed emozionale degli atleti .Non per niente un  endocannabinoide già precedentemente citato, l’anandamide, significa letteralmente- dal sanscrito- “felicità interiore”! Infine esistono studi (Nestler o coll., 2001)che ipotizzano che la neurobiologia dell’”addiction”possa essere collegata a modificazioni endocellulari permanenti, ad esempio fenomeni di “up regulation”, che coinvolgerebbero l’espressione genica. Si deduce sempre di più che il cervello non corrisponde ad una realtà assoluta, ma è pensabile come una mappa geografica aperta in continua modificazione, come avviene nella geografia politica, che si modifica nel tempo, contrariamente alla geografia fisica che rimane invariata. La pratica  sportiva, anche in forma amatoriale, adeguata alle esigenze ed alle realtà individuali, rappresenta un caposaldo della prevenzione. Scegliere di investire il proprio tempo libero in un’attività fisica,  indipendentemete dall’età in cui si decide di iniziare,credo fermamente sia un ottimo investimento per migliorare la qualità del proprio presente e del  proprio futuro! 

 

Dott.ssa Paola Fava